Il termine “Acacia” è, nel grado di Maestro Discreto del Rito di Memphis e Misraim, la Parola di Passo. La Parola ricopre un ruolo assai importante nel complesso simbolico del grado stesso, essendo in un certo qual modo un’introduzione, un anello di congiunzione col grado precedente. Prima però di affrontare il significato simbolico e la funzione della parola nel grado, è meglio soffermarsi sul significato letterale del termine e sul modo in cui è entrato a far parte del percorso massonico.
Col termine “Acacia” si definisce un genere di piante appartenente alla famiglia delle Fabaceae (Leguminose), sottofamiglia delle Mimosaceae. Al genere Acacia appartengono diverse specie (circa milletrecento) diffuse nelle regioni calde del globo. Si trovano infatti specie di Acacia in diversi continenti tra cui l’Australia e l’Africa. Le piante del genere Acacia non reggono il freddo intenso. Fanno eccezione poche specie, tra le quali la più diffusa è quella comunemente chiamata mimosa (Acacia dealbata).
In particolare mi soffermerei su un paio di specie. Prima di tutto Acacia xanthophloea, detta “Acacia della febbre gialla” e Acacia tortilis.
Acacia xanthophloea è un albero che cresce dai quindici ai venticinque metri d’altezza, con un portamento allargato e chioma a ombrello. È diffuso nell’Africa orientale (Kenya) e cresce in zone con terreno umido. Spesso la si trova vicino a corsi d’acqua o in prossimità di conche dove le piogge si raccolgono. Questo albero è utilizzato dalle popolazioni locali per ricavare aghi da cucito. Il nome “Acacia della febbre gialla” deriva da un malinteso dell’epoca coloniale. I viaggiatori inglesi notarono che molte persone venivano attaccate da febbri violente dopo essere state vicine a questi alberi ed essersi magari sedute sotto di loro a riposare. Subito collegarono l’insorgere della febbre con gli alberi. In realtà la spiegazione è altra. I luoghi dove questa Acacia cresce sono umidi e sono quindi ideali per la riproduzione e la vita delle zanzare le quali, spesso, portano malattie come malaria o febbre gialla.
Acacia tortilis invece cresce in zone più asciutte e si adatta anche a terreni fortemente siccitosi. Crescendo in condizioni estreme di aridità sviluppa cespugli alti un metro o poco più, contorti e spinosi. Se invece la disponibilità d’acqua è maggiore cresce in forma arborea raggiungendo a volte i venti metri. Ha un legno piuttosto duro e pregiato che la rende utile nella vita dell’uomo. Ha una diffusione ampia, che va da tutto il nord Africa, scendendo poi lungo la costa orientale del continente e raggiungendo anche la penisola arabica. Viene inoltre coltivata in alcuni paesi asiatici come albero da legname.
L’Acacia appare come pianta sacra fin dai tempi remoti. Se ne trova traccia nelle credenze sciamaniche del Corno d’Africa, soprattutto nelle terre di confine tra gli attuali Kenya ed Etiopia, nella spiritualità delle tribù di ceppo nilotico che abitano quelle zone (Masai, Turkana). Credo che la posizione geografica di queste tribù sia un elemento di notevole importanza. Non dobbiamo dimenticare infatti che le popolazioni del Corno d’Africa intrattennero fin dai tempi più antichi continui commerci con le popolazioni più a nord e in particolare con l’antico Egitto. Insieme agli scambi commerciali passavano anche scambi culturali. Molti dei culti egizi antichi si possono definire come influenzati, se non direttamente derivanti, da quelli dell’Africa nera orientale, di quella zona che oggi chiamiamo Abissinia (Eritrea ed Etiopia) e Sudan.
È quindi molto probabile che la sacralità dell’Acacia sia transitata dall’antico Egitto grazie alle carovane che si spingevano nel lontano sud per procurarsi merci di vario tipo. E visto che questi viaggi erano assai frequenti, non ci sarebbe da stupirsi delle contaminazioni culturali e anche religioso-spirituali.
Ma dall’Egitto alla Massoneria europea il viaggio è lungo. Ci sono migliaia di chilometri e migliaia di anni in mezzo. Come mai nella Londra del XVIII secolo l’acacia fu scelta come pianta sacra? Come mai scegliere un albero che la maggioranza dei massoni inglesi dell’epoca poteva aver visto al massimo illustrato in qualche libro? L’Acacia infatti non tollera il rigido clima inglese.
Per capirlo dobbiamo far riferimento a un altro popolo del mediterraneo: gli Israeliti.
È nota a tutti la storia della schiavitù in Egitto del popolo ebraico. Cosa ci sia di vero e cosa di romanzato nel racconto biblico è questione che spetta agli storici e agli archeologi dirimere. Quel che importa a noi è il fatto che il popolo ebraico entrò in Egitto a causa della carestia, per sopravvivenza, ma non trovò solo beni materiali di cui arricchirsi, ma anche una cultura enormemente più avanzata di quella ebraica dell’epoca. Non dobbiamo scordare che gli ebrei che entrarono in Egitto erano delle tribù di pastori nomadi, mentre quelli che ne uscirono secoli dopo avevano sviluppato una cultura ricca e filosoficamente complessa. Anzi, potremmo perfino affermare che fu proprio l’incontro-scontro con l’Egitto e la sua cultura a trasformare delle tribù di pastori in un unico popolo.
In Egitto il popolo ebraico ha trovato anche il culto dell’Acacia come pianta sacra. Ne abbiamo un chiaro indizio proprio nelle Sacre Scritture:
Faranno dunque un’arca di legno di acacia: avrà due cubiti e mezzo di lunghezza, un cubito e mezzo di larghezza, un cubito e mezzo di altezza. La rivestirai d’oro puro: dentro e fuori la rivestirai e le farai intorno un bordo d’oro. Fonderai per essa quattro anelli d’oro e li fisserai ai suoi quattro piedi: due anelli su di un lato e due anelli sull’altro. Farai stanghe di legno di acacia e le rivestirai d’oro. Introdurrai le stanghe negli anelli sui due lati dell’arca per trasportare l’arca con esse. Le stanghe dovranno rimanere negli anelli dell’arca: non verranno tolte di lì. Nell’arca collocherai la Testimonianza che io ti darò. (Esodo 25, 10 – 16)
L’oggetto più importante della cultura religiosa ebraica è dunque di legno d’Acacia! Questo particolare non va sottovalutato. L’Arca infatti è il simbolo materiale dell’alleanza tra l’uomo e Dio, tra creatura e Creatore. Nell’Arca risiede la potenza manifesta del terribile Dio degli eserciti dell’Antico Testamento. Essa non può essere toccata da mani profane, pena la morte. La sua potenza è infatti tale da uccidere sul colpo chiunque osi profanarla. Ecco cosa dice la Bibbia:
Posero l’arca di Dio su un carro nuovo e la tolsero dalla casa di Abinadàb che era sul colle; Uzzà e Achìo, figli di Abinadàb, conducevano il carro nuovo: Uzzà stava presso l’arca di Dio e Achìo precedeva l’arca. Davide e tutta la casa di Israele facevano festa davanti al Signore con tutte le forze, con canti e con cetre, arpe, timpani, sistri e cembali. Ma quando furono giunti all’aia di Nacon, Uzzà stese la mano verso l’arca di Dio e vi si appoggiò perché i buoi la facevano piegare. L’ira del Signore si accese contro Uzzà; Dio lo percosse per la sua colpa ed egli morì sul posto, presso l’arca di Dio. Davide si rattristò per il fatto che il Signore si era scagliato con impeto contro Uzzà; quel luogo fu chiamato Perez-Uzzà[1] fino ad oggi.[2] (Secondo libro di Samuele 6, 3 – 8)
Ecco dunque che l’Arca diventa legame ambivalente con Dio. Da un lato garantisce e testimonia l’alleanza e la benevolenza di Dio per il suo popolo, dall’altra ne prova la fermezza e la puntualità nel punire chi viola l’alleanza stessa e le sue regole chiare e precise. Il passo sopra citato ci porta anche a riflettere sul fatto che non sempre la punizione deriva da un delitto di tipo “morale”. Il gesto di Uzzà è infatti in tutta buona fede e, anzi, fatto per proteggere l’oggetto sacro da un’eventuale caduta. Ma questo non ha importanza. Uzzà è un uomo e come tale è del tutto incapace di reggere il contatto con una potenza divina superiore e grandiosa che solo può essere contemplata e rispettata, non certo compresa o addirittura “toccata”.
L’Acacia è dunque, divenuta arca, un mezzo di comunicazione, di unione tra l’uomo e il divino, ma è anche, se usata nel modo sbagliato, con incoscienza e mancanza di consapevolezza, un pericolo per l’uomo stesso, per l’incauto che osa troppo. Questo simbolismo si sposa assai bene con l’Acacia. Essa è infatti una pianta molto spinosa. Le sue spine formano un intrico fitto e pungente da cui difficilmente si esce indenni. Ecco perché molti uccelli la prediligono per la nidificazione. Le spine infatti forniscono al contempo un appiglio su cui costruire il nido e una valida protezione contro i predatori di taglia più grossa. In certo qual modo l’acacia ci dice che per entrare nel Tempio, per essere riconosciuti degni del titolo di Maestro Discreto, è necessario spogliarci di ogni impurità e di ogni cosa inutile per divenire agili e leggeri come dei piccoli uccelli, unici in grado di passare tra le spine dell’Acacia senza problemi.
Proprio dalle spine l’Acacia trae il suo nome. A tal proposito il Boucher cita un passo del Chapuis:
Fernand Chapuis ha svolto, riguardo all’Acacia, un interessantissimo studio, dal punto di vista etimologico, botanico e storico, da cui estraiamo i seguenti passaggi:
“Generalmente si fa derivare la parola acacia dal greco aké, che significa “punta”, e questo appare come una inesattezza dato che aké designa la punta acuta di uno strumento di metallo.
La forma antica dell’aculeo vegetale, della spina, è akantha, parola che per estensione diventa la pianta stessa con le spine: l’acanto, l’acacia.
L’umanità nel suo cammino progressivo è come un ragazzo che, a mano a mano che procede il suo sviluppo intellettuale, amplia il suo repertorio. […]
Dopo le parole concrete, gli uomini addivennero alle parole astratte, gli stessi termini servirono a designare ugualmente le qualità degli oggetti e quelle che furono loro attribuite.
Akakia significherà dunque l’innocenza, l’ingenuità che simbolizza l’arbusto. Il prefisso a essendo negazione, kakia sarà il vizio, il disonore, la disposizione al male.
E qualunque cosa si possa conservare di queste spiegazioni tutte personali, un fatto resta: la parola greca akakia significa sia acacia, sia innocenza.
Preso in opposizione a kakia è l’antidoto del vizio, della disposizione al male, è il pegno della buona fortuna; con le sue virtù protegge l’uomo.[3]
L’autore di questo brano risente di una visione ormai sorpassata. Si intravede nelle sue parole una concezione del progresso umano come lineare e transitante da uno stato di ingenuità degli antichi verso una consapevolezza sempre maggiore. Non possiamo oggi, alla luce delle scoperte storiche e delle nuove teorie antropologiche e filosofiche, condividere una simile visione riduttiva e semplicistica. Inoltre l’idea che il simbolismo dell’Acacia derivi dal doppio significato della parola greca non tiene conto del fatto che la sacralità massonica dell’acacia viene con tutta probabilità dal racconto biblico essendo, la Massoneria, nata in un ambiente giudaico-cristiano. Inoltre la sacralità dell’acacia è assai più antica della stessa lingua greca! Resta però il valore di una disquisizione che arricchisce la Massoneria e che, forse per coincidenza o forse per volere dello Spirito, rende palese ciò che prima si celava nelle forme contorte e spinose dell’albero. L’innocenza è infatti necessaria per essere Maestro Discreto e iniziare la salita verso i più grandi misteri. Questa innocenza ci viene donata dall’Acacia. Per entrare dobbiamo passare attraverso di essa, passare tra le sue spine che senza pietà elimineranno tutto ciò che è impuro e inutile per lasciare il Maestro infine puro e leggero. Essa elimina qualunque ultimo residuo che possa essere rimasto dopo l’elevazione al terzo grado dell’Ordine. Lì attraverso il passaggio nel Regno dei Morti come novello Osiride, il Massone viene messo alla prova. E a proteggere il suo corpo mentre egli vaga tra le anime degli antenati, c’è proprio il possente tronco di un’Acacia! Quella stessa Acacia di cui, tornato dal regno dei morti e divenuto Maestro, il Fratello sarà in grado di affrontare le spine per divenire Maestro Discreto.
Infine, va sottolineato un altro collegamento. Come abbiamo detto precedentemente, il legno d’Acacia è il materiale con cui fu costruita l’Arca dell’Alleanza. E proprio il simbolismo dell’arca viene richiamato nel Tempio del quarto grado. Al centro infatti vediamo un’urna che contiene il cuore del Maestro Hiram Abif, il leggendario architetto del Tempio di Salomone tradito e ucciso da tre compagni. La leggenda di Hiram è al centro dell’Elevazione al terzo grado in molti Riti massonici tra cui il Rito Scozzese Antico e Accettato. Nel nostro Rito tale leggenda è sostituita da quella dell’assassinio del Divino Osiride ad opera di suo fratello Seth. Ciò nonostante Hiram non è estraneo al terzo grado del Rito Egizio. La sua leggenda è infatti narrata alla fine dell’Elevazione per sottolineare come le due leggende, le due storie, sono in realtà una sola, due forme che sottendono la stessa sostanza.
All’occhio attento però non può sfuggire una differenza importante: Osiride è una divinità mentre Hiram è un uomo. Apparentando le due leggende il terzo grado segna una nuova tappa nel percorso massonico e spirituale. Al momento dell’Iniziazione infatti, nel Gabinetto di Riflessione, l’iniziando ha potuto contemplare la parola VITRIOL che già preannuncia il viaggio e il passaggio da un piano all’altro. La T infatti può essere interpretata sia come “TERRAE” che come “TUI”. Ecco dunque che dall’indagare la terra, la materia, il mondo corporeo, il Massone deve passare all’indagine di sé, del suo profondo. Solo dopo questa indagine egli può percorrere il Regno dei Morti, acquistando così quei tratti della natura divina che sono rappresentati da Osiride. Il Maestro Massone è quindi sia Hiram, umano, che Osiride, divino.
Il quarto grado ci indica però che la strada va oltre. Hiram-Osiride infatti giace defunto, il suo corpo ridotto in cenere e il suo cuore conservato in un’urna funeraria. Quest’urna è però visibile solo a colui che conosce l’Acacia e che sa passare attraverso le sue spine per entrare nel Tempio dei Maestri Discreti. Grazie a ciò si può cogliere il riferimento all’Arca dell’Alleanza, al cui interno c’è il Dio unico e vero, il Sublime Artefice dei Mondi che supera tanto l’umanità di Hiram quanto la divinità, comunque parziale e limitata, di Osiride che del Sublime Artefice è solo un aspetto e una forma. L’urna contiene un cuore umano, simbolo sì dello Spirito immortale dell’uomo, ma anche simbolo e rappresentazione della caducità della forma umana transeunte. Ma nella sua caducità essa ci invita a ricercare quell’Arca che contiene l’infinito, l’eterno, lo sconosciuto e inconoscibile. Non a caso i paramenti del quarto grado sono di colore verde, un colore di vita, che apparentemente stride con la presenza funerea dell’urna. L’apparente contraddizione svanisce però se si pensa appunto al percorso che collega l’urna all’Arca, l’umano al Divino. La morte corporea non è altro che l’inizio di una vita più grande e gloriosa, non è altro che un necessario passo verso il Sublime Artefice dei Mondi.
Questa è l’essenza di ogni percorso spirituale, sia esso iniziatico o religioso. Ciò che nei vari Riti massonici è sotteso, in quello di Memphis e Misraim viene sviluppato approfonditamente caratterizzandolo come uno dei più ricchi da un punto di vista spirituale e, mi si passi il termine, “mistico”.
Spero che questo Papiro possa dare a tutti uno spunto di riflessione utile per il proprio percorso senza pretendere che esso sia verità unica e assoluta.
Enrico Proserpio
[1] Perez-Uzzà significa “La breccia di Uzzà”.
[2] Entrambi i passi biblici sono tratti dalla Bibbia di Gerusalemme, edizioni Dehoniane, 2002.
[3] La simbologia massonica, Jules Boucher, ed. Atanòr, 2003, pagine 273 – 274.
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